Di Vanessa Tomassini per "Strumenti Politici".
Il 23 maggio 1992, cinque quintali di esplosivo non squarciarono soltanto il cielo di Palermo, ma anche le coscienze degli italiani. Nel 31mo anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, la parola legalità, seppur per poco, è finalmente tornata in auge nel nostro Paese. In questa triste data della storia, abbiamo ricordato tutti i servitori dello Stato uccisi dalla mano violenta della mafia. Essa ha riacceso in noi sentimenti di indignazione e voglia di riscatto. Ma la legalità, si dice vada costruita giorno per giorno. Lo sanno bene gli uomini e le donne della Polizia di Stato e delle nostre valorose forze dell’ordine, che ogni giorno affrontano la criminalità organizzata, anche sacrificando la propria vita ed affetti.Ne è un esempio il questore di Agrigento, il Dr. Emanuele Ricifari, che a Palma di Montechiaro, prima della tradizionale processione religiosa, ha fatto rimuovere dalla statua della Madonna, la targhetta d’intitolazione a una famiglia di mafiosi. Ha anche vietato la parata di cavalli, perché molti sarebbero stati montati da noti pregiudicati. Gesti come questi, seppur simbolici, nel quotidiano contribuiscono a rafforzare la legalità. Scopriamo con il Dr. Emanuele Ricifari, presidente dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP), già fondatore e primo direttore del Servizio Centrale Anticrimine, Questore di Cuneo, Caltanissetta e, da due mesi, questore di Agrigento, qual è, secondo la sua esperienza più recente, lo stato di legalità e del comparto sicurezza nel nostro Paese.
“La Mafia è resiliente, per usare un termine in voga. Sa cambiare e adattarsi alle situazioni socio economiche nonché rispetto alla attività di contrasto delle agenzie di controllo come Polizia e Magistratura. Oggi, pur avendo da molto tempo superato i confini continentali, cerca di mantenere un forte legame col territorio di origine. Ad Agrigento e Caltanissetta, esiste ancora una radicata ‘cultura’ familista e di potere esercitato per consorterie trasversali di interessi. Circoli pseudomassonici e di forte tradizione strettamente locali, legati alla coltura e al lavoro rurale che si coniugano con la spartizione di appalti di servizi, specie nei settori della sanità, dei rifiuti; e nell’economia privata, nel settore dei giochi e della distribuzione di moderni generi di conforto”.
“Non risultano evidenze di connessione tra l’immigrazione irregolare legata agli sbarchi e infiltrazioni terroristiche. Tuttavia, il discorso è diverso se parliamo di radicalizzazioni che maturano dopo l’arrivo dei migranti nei Paesi europei di destinazione. In particolare, le situazioni socioeconomiche di chi arriva sono meno facili di quelle attese. A volte, l’integrazione risulta difficile o si tendono a creare sacche di marginalità in zone e quartieri di grandi città – si pensi a Francia e Belgio in particolare – che sono veri ghetti spesso multirazziali. In questi casi si assiste anche al fenomeno della radicalizzazione telematica ‘fatta in casa’ e al fenomeno dei cosiddetti ‘homegrown’.
“Per quanto concerne le organizzazioni che favoriscono o sfruttano l’immigrazione clandestina, stiamo assistendo a un rapido mutamento del fenomeno, sia in termini di modalità nell’organizzare i viaggi, sia riguardo le rotte. Oggi, via mare verso l’Italia, principale è quella che porta alla Sicilia, a Lampedusa e Pantelleria in particolare. Stiamo assistendo ad un aumento delle partenze dalla Tunisi, dalla Libia in aumento minore. Anche le organizzazioni criminose mutano le loro abitudini. Ora si tratta spesso di barche in ferro assemblate alla meglio sulle coste nordafricane mediterranee e caricate di persone. Gli scafisti di professione si sono ridotti, utilizzano scafi d’alto bordo e rotte meno battute. Si dirigono verso porti turistici o approdi di fortuna più nascosti. I cosiddetti barconi, invece, sono guidati da ‘utenti’ immigrati con meno possibilità, ai quali viene insegnato come manovrare il motore per giungere in acque SAR e attendere l’arrivo di soccorsi”.
“Qui ad Agrigento, come in ogni realtà dove si viene nominato Questore, dunque Autorità di Pubblica Sicurezza a livello tecnico-operativo, la prima cosa da fare è studiare a fondo il contesto territoriale della provincia sotto tutto gli aspetti di interesse: socioeconomico, storico politico e sociale, dei servizi e della loro accessibilità, dell’occupazione, criminale e della delittuosità. Su questo studio del contesto, si può impostare una lettura georeferenziata dei fenomeni delittuosi, della loro frequenza e di ogni altro dato, in particolare temporale e di modus operandi. Questo consente di orientare l’attività di monitoraggio preventivo generale e particolare degli uffici info investigativi come squadre mobili, polizia giudiziaria dei commissariati e Digos, e di quelli di controllo del territorio come volanti, squadre di controllo di polizia amministrativa e pattuglie delle specialità della Polstrada, della Polfer, della Polizia di frontiera e dell’immigrazione, in coordinamento e pianificazione operativa con Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza e, non ultimo, Polizia Locale o Municipale”.
“La riforma della Giustizia, a parere dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP) che presiedo, dovrebbe coniugarsi con le esigenze di prevenzione generale e speciale dei reati e quindi di pubblica sicurezza. Tenere disgiunte le due cose come si trattasse di esigenze autonome o addirittura contrapposte non solo è superato dai fatti, ma è miope e rende ogni riforma destinata a risultare insoddisfacente per la percezione della sicurezza, il libero esercizio di diritti e per la libertà dei cittadini. Ricordiamo che libertà non è solo ‘libertà di’ riunirsi, manifestare, muoversi, protestare, esprimere il proprio pensiero – il tutto in modo legittimo e senza comprimere troppo la libertà altrui – ma è anche e forse soprattutto ‘libertà da’ condizionamenti, paura per la propria sicurezza, per il lavoro, per lo svolgimento e sviluppo di attività economiche, politiche, sociali”.
Tra le forze dell’ordine si respira, a volte, una certa ‘frustrazione’ nonostante il grande lavoro che ogni giorno portate avanti a favore della collettività, e per cui tutti noi siamo profondamenti grati. Quali sono i principali problemi o sfide che la Polizia si trova a far fronte?
“Credo che bisognerebbe acquisire un metodo di confronto, anche politico, più pragmatico e che tenda a non polarizzare le posizioni sempre su pro o contro un determinato tema o fenomeno, ma bensì trovare soluzioni concrete rispettose dei comuni a tutti principi costituzionali. Le forze di polizia, e in particolare quelle di ordinamento civile come la Polizia di Stato, devono vedersi riconosciuti sia economicamente che nel dibattito e nello sviluppo sociale una dignità di ruolo e corrispettivamente economica di maggior rilievo. Gli stipendi e i trattamenti previdenziali vanno adeguati agli standard europei. Abbiamo, come riconosciuto più a livello internazionale che nel Paese che serviamo e in cui operiamo, una delle polizie più efficienti e preparate al mondo. Specie nell’ordine pubblico e nella investigazione preventiva e giudiziaria siamo esempio di metodo, motivazione e dedizione”.
“A chi semplicisticamente auspica un unico corpo di polizia rispondo che sarebbe molto più importante dare piena realizzazione alla l. 121/81 cd riforma della Pubblica Sicurezza, la quale prevede già coordinamento e guida unitarie rispettivamente in capo alle Autorità provinciali di PS di indirizzo politico amministrativo (i Prefetti) e di guida tecnico -operativa (i Questori), i quali ultimi hanno con il potere di ordinanza la funzione di disciplinare il chi fa che cosa e come deve farlo tra i diversi corpi di polizia e principalmente Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri unitamente alle Polizie locali”.
“Circa il fenomeno del disturbo psichico è necessario dare compiuta attuazione territoriale alla normativa vigente, ricordiamo che spetta a regioni e comuni. Si sente dire che per la cosiddetta legge Basaglia, con la chiusura dei manicomi, non c’è più chi si occupa dei malati psichici. La legge prevederebbe la costituzione di presidi territoriali di gestione e residenzialità dei malati, ma come molte normative, non sono buone o cattive, ma scarsamente realizzate ed applicate”.